Si è rinnovata giovedì 22 maggio la festa liturgica in onore di Santa Rita, una delle più sentite, la Santa delle cause impossibili. Santa Rita viene festeggiata dappertutto ma, essendo una Santa di lontana origine, in Sicilia non ci sono feste patronali ma tante ricorrenze come a Tortorici (foto in alto) e Castell’Umberto con il tradizionale corteo di auto e la benedizione delle rose. Servizio con annessa la storia di Santa Rita e foto…
GIUSEPPE LAZZARO
Si è rinnovata giovedì 22 maggio la festa liturgica in onore di Santa Rita, una delle più sentite, la Santa delle cause impossibili. Una storia, la sua, che ha segnato la storia: madre di due gemelli, il marito ucciso, i figli morti, il suo ingresso in monastero per volontà Divina, la fede sempre a sorreggerla, colei che a Cascia instaurò la pace tra Guelfi e Ghibellini. Santa Rita viene festeggiata dappertutto ma, essendo una Santa di lontana origine, in Sicilia non ci sono feste patronali ma tante ricorrenze come a Tortorici e Castell’Umberto.
A Tortorici, nel programma allestito dall’Arciprete Simone Campana, dopo la conclusione del Triduo, sono state celebrate le messe alle 8,30, alle 10 e alle 16 e, al termine, sono state benedette le rose, il fiore d’eccellenza nel ricordare la Santa di Cascia.
Le processioni sono state due. Al mattino, dopo la messa delle 10 e quella del pomeriggio, con le auto.
Dapprima padre Simone ha benedetto le macchine, alle spalle di piazza Gepy Faranda. Quindi via al corteo delle auto, con le rose sul cruscotto, lungo la strada provinciale che, da Tortorici, conduce dopo 7 km, a Castell’Umberto dove è stata impartita la benedizione davanti alla Chiesa Madre di Maria SS. Assunta con la reliquia di Santa Rita e con, oltre che a padre Simone, all’Arciprete umbertino Salvatore Chiacchera (foto sotto).
Al ritorno corteo di auto verso Tortorici e con sosta e benedizione nella contrada di Sfaranda.
LA STORIA DI SANTA RITA DA CASCIA
Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti (nata a Roccaporena nel 1381, morte a Cascia il 22 maggio 1457), è stata una religiosa italiana del monastero eremitano di Santa Maria Maddalena. Beatificata da Papa Urbano VIII nel 1626, è stata canonizzata da Papa Leone XIII nel 1900.
Molta parte della vita di Rita risulta oscura dal punto di vista della documentazione storica. Tra le pochissime fonti, più o meno coeve, si annoverano l’iscrizione e le immagini dipinte sulla “cassa solenne” (datata 1457), il Codex miraculorum (elenco di miracoli registrato dai notai su richiesta del comune di Cascia, preceduto da una breve biografia scritta dal notaio Domenico Angeli, anch’essa del 1457) e una tela a sei scomparti con episodi della vita (1480 circa). La prima ricostruzione agiografica risale soltanto al 1610, ad opera di padre Agostino Cavallucci, agostiniano. Su tale testo si modelleranno tutte le successive biografie della Santa. Cavallucci si basò sulla tradizione orale (in particolare quella interna al monastero di Cascia e quella degli abitanti di Roccaporena), e sulle poche fonti iconografiche precedenti, probabilmente servendosi, per il resto, di topoi agiografici consolidati.
Il luogo di nascita è concorde per Roccaporena, una frazione montagnosa a circa 5 chilometri da Cascia (provincia di Perugia), all’epoca uno dei castelli ghibellini facenti parte del contado del comune di Cascia. Le date di nascita e morte sono incerte. La data di nascita, in particolare, dipende dall’anno in cui si indica la morte, ovvero il 1447 per alcuni o il 1457 per altri, dopo quarant’anni di vita monacale. Papa Leone XIII, in occasione della canonizzazione di Santa Rita, sostenne le date 1381 e 1457.
Secondo le biografie tradizionali, Rita nacque da Antonio Lotti e Amata Ferri, genitori già anziani, molto religiosi, nominati dal Comune come “pacieri di Cristo” nelle lotte politiche e familiari tra Guelfi e Ghibellini, e in discrete condizioni economiche, come proprietari di terreni agricoli. I genitori, come era d’uso, la indirizzarono molto presto verso il matrimonio; Rita sposò quindi Paolo di Ferdinando di Mancino (o Mancini), forse un ufficiale della guarnigione di Collegiacone, descritto tradizionalmente come un uomo orgoglioso ed irruente, appartenente alla fazione ghibellina. Le nozze si tennero nella chiesetta di San Montano a Roccaporena. Secondo le agiografie tradizionali il carattere mite di Rita acquietò, col tempo, lo spirito impulsivo e violento del marito, tanto che questi abbandonò le armi per convertirsi al lavoro presso un mulino da poco accomodato come loro casa. Nacquero due figli (gemelli), Giangiacomo Antonio e Paolo Maria. Dopo alcuni anni di matrimonio, Paolo Mancini venne ucciso – probabilmente da suoi ex-compagni, a causa di rancori passati ed accuse di tradimento – mentre rincasava in piena notte. Tuttavia Rita non serbò odio, anzi perdonò gli assassini e pregò anche per i suoi due figli che, come era costume del tempo, probabilmente stavano pensando alla vendetta. I due figli, da lì a breve, morirono di malattia, quasi contemporaneamente. Si dice che la Santa pregò Dio per la morte dei suoi figli così che non avessero a sporcarsi le mani del sangue degli assassini del padre.
Abbandonata anche dai parenti del marito, Rita decise di prendere i voti ed entrare nel monastero agostiniano di Santa Maria Maddalena, a Cascia. Chiese per tre volte inutilmente il noviziato, che le venne rifiutato per ragioni non chiare; alcuni biografi pensano che rappresentasse un ostacolo la presenza della sorella del marito tra le monache, rancorosa poiché non fu vendicato. Tuttavia, con tenacia, fede e preghiera, Rita convinse la famiglia Mancini ad abbandonare ogni proposito di vendetta. Dopo aver riconciliato i Mancini con le fazioni degli assassini, Rita riuscì ad entrare in monastero intorno al 1407. Secondo la tradizione agiografica che si rifà alla biografia di Cavallucci, Rita, in piena notte, venne portata in volo dal cosiddetto “scoglio” di Roccaporena (altura dove andava spesso a pregare) fino dentro le mura del monastero di Cascia dai suoi tre Santi protettori (Agostino, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, quest’ultimo canonizzato soltanto nel 1446). Sempre secondo Cavallucci la badessa del monastero mise a dura prova la vocazione e l’obbedienza di Rita, facendole annaffiare un arbusto di vite secco, presente nel chiostro del monastero. Il legno, dopo un po’ di tempo, riprese vita e dette frutto. Nello stesso chiostro, oggi, è presente una vite risalente al XIX secolo. Durante i quarant’anni di vita monacale, Rita non solo si dedicò alla preghiera, a penitenze e a digiuni nel monastero, ma uscì spesso per andare in servizio a poveri e ammalati di Cascia.
Secondo la tradizione devozionale, la sera del Venerdì Santo del 18 aprile 1432 (o 30 marzo 1442 secondo un’altra tradizione), ritiratasi in preghiera per la Passione di Gesù, dopo aver ascoltato la predica di Fra’ Giacomo della Marca, avrebbe ricevuto una spina dalla corona del Crocifisso, che le si sarebbe conficcata in fronte. L’evento è uno dei pochi della vita della monaca esplicitamente ricordato nell’iconografia quattrocentesca pervenutaci e nel breve testo dipinto sulla “cassa solenne” (1457), nel quale si legge “quindici anni la spina patisti”.
La stigmata sulla fronte e la precaria salute la obbligavano a non spostarsi da Cascia. Tuttavia, si narra che nel 1446 volle partire per Roma, per assistere alla canonizzazione del predicatore agostiniano Nicola da Tolentino. La badessa era contraria per via della ferita purulenta sulla fronte ma essa scomparve il giorno prima del pellegrinaggio, così che Rita poté partire. Al ritorno da Roma, però, la stigmata ricomparve. Rita rimase malata a letto per molto tempo. Secondo la tradizione devozionale seicentesca, nell’inverno prima di morire Rita mandò sua cugina a prendere una rosa e due fichi nel suo orto a Roccaporena. La cugina, incredula, pensava che delirasse ma effettivamente trovò tra la neve la rosa rossa e i fichi richiesti, segni interpretati come la salvezza e il candore dell’anima di suo marito e dei suoi figli. Inoltre, la tradizione seicentesca lega strettamente Rita alle api, e dice che come apparvero api bianche sulla sua culla, così apparvero api nere sul suo letto di morte. Sulla base di questi racconti, le api, le rose e la spina sono diventati gli attributi iconografici più frequenti della Santa.
Il suo corpo venne collocato dapprima in una cassa semplice, detta “cassa umile”, e non fu mai inumato a causa dell’immediata devozione dalla quale venne investito. I primi miracoli vennero registrati dai notai nel Codex miraculorum (Codice dei miracoli) a partire dal 1457 e fino al 1563 (in totale, 46 miracoli). In seguito a un incendio che nel 1457 danneggiò la “cassa umile”, venne realizzata la cosiddetta “cassa solenne”, decorata con immagini della Santa e con un breve testo in dialetto casciano quattrocentesco che riassume gli ultimi anni della sua vita. La cassa è ancora oggi conservata nella cella dove morì, nella parte antica del monastero di Cascia. Nel 1743 la salma fu traslata in un’urna in stile barocco, e nel 1947 nell’attuale teca di vetro all’interno della basilica.
La venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli iniziò subito dopo la sua morte e fu caratterizzata dall’elevato numero e dalla qualità degli eventi prodigiosi, riferiti alla sua intercessione, tanto che acquisì l’allocuzione di “Santa degli impossibili”. La sua beatificazione avvenne, però, dopo varie vicissitudini, soltanto nel 1626, 180 anni dopo la sua morte, durante il pontificato di Urbano VIII, già Vescovo di Spoleto, grazie al forte interessamento del Cardinale Fausto Poli, suo stretto collaboratore. Papa Leone XIII, nel 1900, la canonizzò.
La Chiesa cattolica, ai fini della canonizzazione, richiede il riconoscimento di due miracoli. Nel caso di Santa Rita si tratta della guarigione, ritenuta miracolosa, di Elisabetta Bergamini, una bambina che stava per perdere la vista a causa del vaiolo. La seconda guarigione, ritenuta miracolosa, riguardò Cosmo Pellegrini, un anziano sarto di Conversano affetto da una gravissima forma di gastroenterite cronica: quest’ultimo, prima di recuperare improvvisamente la salute nel 1887, dopo aver ricevuto l’estrema unzione, avrebbe avuto una visione della Santa. A questi episodi si aggiunse il gradevole e inspiegabile profumo che emanava dai resti del corpo della Santa.
I credenti suoi devoti la chiamano “Santa degli impossibili” perché dal giorno della sua morte sarebbe “scesa” al fianco dei più bisognosi, realizzando per loro miracoli prodigiosi, eventi altrimenti ritenuti irrealizzabili. La devozione popolare cattolica per Santa Rita è tuttora una delle più diffuse al mondo e, fin dal 1600 e per opera degli agostiniani, è particolarmente radicata, oltre che in Italia, in Spagna, Portogallo e America Latina. È fra i Aanti invocati dagli studenti, soprattutto prima degli esami. I resti della Santa sono conservati a Cascia, all’interno della Basilica di Santa Rita, facente parte dell’omonimo Santuario e fatta erigere tra il 1937 e il 1947. Il corpo è rivestito dall’abito agostiniano cucito dalle monache del monastero, come voluto dalla badessa Maria Teresa Fasce, e posto in una teca all’interno della cappella in stile neo-bizantino. Ricognizioni mediche effettuate nel 1972 e nel 1997 hanno confermato la presenza, sulla zona frontale sinistra, di tracce di una lesione ossea aperta, dovuta forse a osteomielite, mentre il piede destro mostra segni di una malattia di cui avrebbe sofferto negli ultimi anni di vita, probabilmente una sciatalgia. Era alta 1 metro e 57 cm. Il viso, le mani e i piedi sono mummificati; il resto del corpo, coperto dall’abito agostiniano, è in forma di semplice scheletro.
Edited by, venerdì 23 maggio 2025, ore 9,25.