Op. “Gotha 5”: La Cassazione mette il punto, definitive 20 condanne

Sono state confermate dalla Cassazione venti condanne nell’ambito dell’operazione “GOTHA 5” (in alto il cartellone) che, eseguita da carabinieri e polizia sotto il coordinamento della Dda, tra aprile e novembre 2015, in due tranche, portò all’arresto delle cosiddette “nuove leve” della criminalità organizzata barcellonese e del suo hinterland. La ricostruzione di un altro pezzo di “Gotha” al quale la Suprema Corte ha messo la parola fine…

Ricorsi dichiarati inammissibili o rigettati. Diventano quindi definitive, dopo il passaggio in Cassazione, venti condanne per la mafia emergente di Barcellona e della zona tirrenica, fotografata da magistrati e investigatori tra le carte dell’operazione “Gotha 5”. Questa puntata della “Gotha” ha focalizzato gli affari illeciti della malavita organizzata barcellonese a Milazzo e negli altri centri tirrenici all’indomani dell’arresto di tutti i boss storici, con alcuni “figli d’arte” in prima linea per continuare l’oppressione mafiosa. È questo il nucleo centrale d’interessi criminali che fu svelato un paio di anni addietro. E si tratta ora in pratica del sigillo giudiziario finale di una serie di condanne, dopo i riti abbreviati. La Quinta sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibili – quindi non è nemmeno entrata nel merito della vicenda, i ricorsi presentati da:

Salvatore Artino, di Mazzarrà Sant’Andrea, collaboratore di giustizia, 3 anni e 10 mesi;

Alessio Alesci, di Milazzo, collaboratore di giustizia, 5 anni e 8 mesi;

Antonino Biondo, di Barcellona, 7 anni;

Marco Chiofalo, di Mazzarrà Sant’Andrea, 9 anni;

Miloud Essaoula, marocchino, di Mazzarrà S.Andrea, 2 anni e 6 mesi;

Antonino Genovese, di Barcellona, 3 anni e 6 mesi;

Filippo Munafò, di Barcellona, 7 anni;

Giuseppe Ofria, di Barcellona, 9 anni;

Orazio Salvo, di Mazzarrà S.Andrea, 5 anni;

Mario Pantè, di Mazzarrà S.Andrea, 5 anni e 2 mesi;

Santo Gullo, di Falcone, collaboratore di giustizia, 3 anni e 8 mesi;

Carmelo Crisafulli, di Barcellona, 4 anni;

Santino Benvenga, di Barcellona, 4 anni;

Giuseppe Reale, di Mazzarrà S.Andrea, 6 anni e 8 mesi;

Giovanni Fiore, di Barcellona, 3 anni e 2 mesi.

Dopo averli esaminati ha poi rigettato i ricorsi presentati da:

Sebastiano Torre, di Mazzarrà S.Andrea, 8 anni;

Salvatore Chiofalo, di Barcellona, 4 anni;

Giuseppe Cammisa, di Mazzarrà S.Andrea, 7 anni, 7 mesi, 20 giorni;

Angelo Bucolo, di Mazzarrà S.Andrea, 6 anni e 10 mesi;

Bartolo D’Amico, di Barcellona, 8 anni e 10 mesi.

Per effetto delle decisioni adottate dalla Suprema Corte le venti condanne inflitte a suo tempo in appello diventano definitive.

L’INCHIESTA: “GOTHA 5 E BIS”

I carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto, della Sezione Anticrimine del Ros di Messina e gli agenti di polizia del Commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto, il 18 giugno 2015 diedero esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del tribunale di Messina Maria Luisa Materia, su richiesta dell’allora Procuratore Capo di Messina Guido Lo Forte e dei sostituti procuratori Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina (oggi il primo è Procuratore aggiunto di Messina, il secondo Procuratore Capo di Patti). L’operazione, denominata “Gotha 5/bis”, aveva portato all’arresto di 8 soggetti per estorsione, porto e detenzione illegale di armi, reati aggravati per essere stati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis (associazione mafiosa) ed al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata “famiglia barcellonese”, nonché per essersi resi promotori di una organizzazione, operante nella zona di Barcellona e paesi limitrofi, dedita alla detenzione ed alla cessione di sostanze stupefacenti. I provvedimenti scaturirono da una complessa attività investigativa, avviata nel 2013, sul conto del sodalizio mafioso riconducibile a Cosa Nostra siciliana denominato “dei barcellonesi”, operante sul versante tirrenico della provincia di Messina e della sua storica diramazione territoriale cosiddetta dei “Mazzarroti” (di cui gli arrestati sono espressione ed in nome della quale agivano) e rappresentava la prosecuzione dell’operazione antimafia denominata “GOTHA V”, che ha individuato e colpito i nuovi assetti del sodalizio criminale, ponendosi in linea di continuità con le precedenti. Le condotte delittuose individuate – estorsioni e spaccio di stupefacenti – hanno permesso all’organizzazione di “fare cassa” e “sostenere” le famiglie dei detenuti. Le indagini dei carabinieri e della polizia sono state basate in prevalenza sulle attività di intercettazione telefonica ed ambientale e sui connessi servizi di polizia giudiziaria a riscontro ed hanno visto il contributo delle persone offese dei reati che hanno confermato i gravi fatti che hanno dovuto subire nel corso degli anni, consentendo di svelare la condotta degli attuali indagati diretta prevalentemente ad una sistematica attività estorsiva ed alla organizzazione di una rete di approvvigionamento per il successivo spaccio di sostanza stupefacente. In tale contesto assunse particolare rilevanza il contributo delle vittime del reato estorsivo che, una volta tratti in arresto i loro persecutori in relazione ad altre vicende delittuose, decisero di rendere dichiarazioni accusatorie superando ogni contegno omertoso. Tale atteggiamento positivo, già manifestatosi in pregresse attività di indagine, è significativo del continuo rafforzamento del sentimento di fiducia nei confronti delle forze di polizia e della magistratura. In particolare, l’attività di indagine del Commissariato di P.S. di Barcellona P.G., allora al comando del vicequestore Mario Ceraolo, che ha continuato a monitorare il nuovo assetto operativo dell’agguerrita frangia dei “Mazzarroti” disvelato con l’operazione antimafia “GOTHA V”, ha consentito di confermare l’impegno di tale cosca per garantire continuità all’azione del gruppo nel settore delle estorsioni, per le quali sono stati arrestati, e adesso condannati, Giovanni Pino e Sebastiano Torre. I due avevano imposto ad una ditta di Furnari impegnata in lavori edili stradali, il pagamento di una tangente nella misura del 2% dell’importo complessivo dei lavori, 55.000 euro, ottenendo pochi giorni prima del loro arresto per associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione illegale di armi del 16 aprile 2015, un acconto di 600 euro quale “rata” di Pasqua, dopo aver “convinto” l’imprenditore con la collocazione di una bottiglia incendiaria presso il deposito della sua ditta e le conseguenti intimidazioni quali componenti dell’associazione mafiosa. Alla ricostruzione del fatto si è giunti attraverso le intercettazioni ambientali che consentirono di documentare “in diretta” le diverse fasi dell’approccio estorsivo. Nel medesimo contesto di indagini Mario Pantè venne arrestato per lo stesso reato di estorsione con l’aggravante mafiosa, commesso in danno del titolare di una struttura alberghiera, la “Rosa dei venti” di Campogrande di Tripi, dal quale aveva preteso, a nome dell’associazione mafiosa dei “Mazzaroti”, il pagamento di una tangente di 1.000 euro. Lo stesso titolare era rimasto vittima anche di altri due componenti della cosca di Mazzarrà Sant’Andrea, Giuseppe Cammisa e Sebastiano Torre, arrestati – anche per questo reato – nell’operazione “GOTHA V”, ai quali aveva dovuto corrispondere un’altra rata di 1.000 euro a titolo di “pizzo”. L’attenzione dei carabinieri del Ros si era soffermata nel completare il quadro indiziario nei confronti di Salvatore Calcò Labbruzzo, già colpito da ordinanza di custodia cautelare nell’operazione “Gotha” il 24 giugno 2011 in quanto ritenuto anello di collegamento tra la famiglia mafiosa “dei barcellonesi” e la cosca “dei tortoriciani”. Con l’ordinanza dell’8 aprile 2015 la posizione processuale del medesimo era stata già oggetto di disamina del Gip, a seguito delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori Santo Gullo e Salvatore Artino che avevano riguardato le specifiche responsabilità del predetto in merito all’estorsione nei confronti di una società. In quella sede il Gip non aveva accolto la misura cautelare che invece è stata emessa nell’ambito del procedimento chiuso con la condanna, perché le suddette dichiarazioni accusatorie sono state corroborate dalle dichiarazioni di uno degli amministratori della stessa impresa, che ammise di avere effettuato dazioni di denaro a titolo estorsivo, a partire dal 2000/2001 e fino al 2011, dapprima allo stesso Santo Gullo (al tempo personaggio di spicco della mafia barcellonese nella zona di Oliveri e Falcone) e, successivamente, allo stesso Calcò Labbruzzo, considerato il referente dei “Barcellonesi” a Tripi. All’esito dell’operazione “Gotha 5”, Alessio Alesci, Bartolo D’Amico, Marco Chiofalo e Giuseppe Ofria, erano stati sottoposti, tra l’altro, alla misura custodiale in carcere in relazione ad un episodio di spaccio di sostanze stupefacenti. In tale contesto il Tribunale della Libertà di Messina aveva ritenuto non sussistente l’aggravante del metodo mafioso. Con il provvedimento il Gip, recependo in toto le risultanze dell’analisi investigativa dei carabinieri della Compagnia di Barcellona, aveva contestato ai soggetti sopra indicati l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, con l’aggravante di avere in uso delle armi. In tal senso inequivocabili sono le nuove risultanze investigative e gli elementi di prova acquisiti soprattutto attraverso le intercettazioni ambientali all’interno dell’autovettura Volkswagen Tuareg, in uso ad Alessio Alesci, zio di Giuseppe Ofria. L’attività tecnica di intercettazione ambientale, durata nove mesi, consentì di poter comprendere le dinamiche interne all’associazione mafiosa “dei barcellonesi” decapitata, negli ultimi anni, dei suoi uomini di vertice nonché direttivi. Fin da subito, grazie alle intercettazioni ambientali, venne captata una quantità considerevole di preziosissime conversazioni, dalle quali si evince – con chiarezza e senza alcun margine di errore o di fraintendimento – che i soggetti indicati, avvalendosi della forza intimidatrice promanata anche dall’uso delle armi, avevano commesso una serie di delitti tra i quali primeggia l’acquisizione e la distribuzione, svolta in maniera organizzata e sistematica, di sostanze stupefacenti sulla piazza barcellonese, su quella milazzese ed in altri comuni limitrofi, contesa in un primo momento ad altro gruppo emergente. I proventi, almeno parte di essi, sono stati destinati al mantenimento in carcere di alcuni detenuti, nella fattispecie dei fratelli Mazzù, Carmelo e Lorenzo (tratti in arresto il 10 luglio 2013 a seguito dell’operazione “GOTHA 4”), per conto dei quali, o meglio raccogliendone l’eredità ed il posto lasciato vacante, gli imputati adesso condannati hanno agito. Le risultanze delle intercettazioni, che costituiscono l’architrave delle contestazioni, hanno consentito di ravvisare che l’attività di spaccio di cui rispondono gli imputati non è sporadica ma stabilmente consolidata all’interno della quale ogni sodale, con ruolo differente, è impegnato nel produrre la maggior ricchezza possibile attraverso la distribuzione nel mercato della droga. La medesima attività tecnica ha permesso di dimostrare che gli imputati, nell’ambito dell’attività illegale posta in essere, abbiano avuto la disponibilità di armi, come emerso in maniera esplicita dalle conversazioni intercorse tra Marco Chiofalo e Giuseppe Ofria – nel corso delle quali il primo è stato redarguito dal secondo per non aver dimostrato particolare cautela nella custodia di una pistola a suo tempo detenuta in casa – e tra Bartolo D’Amico e Alessio Alesci, foriere di esplicite ammissioni a proposito del loro porto ed uso in pubblico.

I carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto diedero poi esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto Danilo Maffa, nei confronti di Bartolo D’Amico e Marco Chiofalo. I fatti contestati emersero dalla stessa attività investigativa che aveva condotto all’esecuzione di 22 misure di custodia cautelare in carcere scaturite dall’operazione “Gotha 5”, scattata il 16 aprile 2015 e seguite a ruota dai successivi 8 provvedimenti oggetto del prosieguo “GOTHA 5 – bis” del 18 giugno 2015 che, complessivamente, portarono alla luce i reati di estorsione, porto e detenzione illegale di armi, aggravati per essere stati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis (associazione mafiosa) ed al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata “famiglia barcellonese”, nonché per essersi resi promotori di una organizzazione, operante nella zona di Barcellona e paesi limitrofi, dedita alla detenzione ed alla cessione di sostanze stupefacenti.

L’INCHIESTA/ “GOTHA 5” TER

L’operazione denominata “Gotha 5 ter” (in prosecuzione delle due scattate nella primavera 2015), portò all’arresto di 8 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina, porto abusivo di arma da fuoco, furto e incendio, aggravati dalla disponibilità di armi e materiale esplodente nonché dall’aver commesso i fatti avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis codice penale, al fine cioè di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata “famiglia barcellonese”. Il provvedimento scaturì dalle indagini avviate nel 2014 dai carabinieri della Compagnia di Barcellona a seguito di una serie di gravi danneggiamenti, portati a termine nel comprensorio tirrenico della provincia di Messina, i cui esiti, anche grazie allo sviluppo investigativo degli elementi emersi a margine dell’operazione “Gotha 5”, che tra i mesi di aprile e giugno 2015, portò all’esecuzione di un totale di 32 provvedimenti restrittivi e delle dichiarazioni di due nuovi collaboratori di giustizia, che permisero di comprovare l’operatività, nell’area barcellonese, di un gruppo criminale affiliato a “Cosa Nostra” dedito alle attività estorsive e al narcotraffico, documentando i ruoli dei diversi sodali nella realizzazione di molteplici atti intimidatori e danneggiamenti funzionali all’imposizione del racket sia nel settore dei servizi di sicurezza privata all’interno delle discoteche della zona del Longano e Milazzo, sia in quello del trasporto marittimo dei turisti verso le Isole Eolie. Inoltre fu possibile individuare gli autori degli incendi che causarono la distruzione di gran parte della discoteca-sala ricevimenti “Villa Ligà” ubicata a Portorosa del Comune di Furnari (circa 1 milione di euro di danni) e della motonave da diporto di 32 metri “Eolo d’oro”, impiegata per mini-crociere nelle Isole Eolie (circa 800.000 euro di danni, interamente indennizzati attraverso i fondi messi a disposizione dalla FAI, la Federazione Antiracket Italiana) avvenuti rispettivamente il 13 agosto e il 3 dicembre 2014. Come nei precedenti provvedimenti cautelari, anche le risultanze investigative di questo filone di indagine, statuirono l’esistenza del gruppo dei “barcellonesi” come dedito a violenti delitti commessi nell’hinterland. Risultanze ulteriormente confermate anche dalle dichiarazioni rese dai nuovi collaboratori di giustizia, Franco Munafò e Alessio Alesci, già colpiti dalle citate ordinanze di custodia cautelare i quali, oltre a confermare l’esistenza del gruppo criminale cui appartenevano (riferibile al medesimo Alessio Alesci ed al nipote Giuseppe Ofria), svelarono i nomi dei soggetti che rappresentarono nel corso del tempo l’assetto operativo dell’associazione mafiosa, composto anche dalle persone tratte in arresto. Ancora una volta venne contestata l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, con l’aggravante di poter disporre di armi e materie esplodenti. Nel caso specifico venne colpito dal provvedimento in argomento Antonino Biondo, detto Tonino, ritenuto custode della sostanza stupefacente nonché di un arsenale di armi, a disposizione dell’intero gruppo di Giuseppe Ofria, Alessio Alesci, Bartolo D’Amico e Marco Chiofalo. Nella stessa operazione fu arrestato anche Carmelo Crisafulli, autore in concorso con altri due complici della rapina al supermercato “Spaccio Super Fresco” della frazione di Campogrande di Tripi. Nel corso di tale rapina i malviventi, per guadagnarsi la fuga, esplosero due colpi d’arma da fuoco di cui uno ferì un cliente provocandogli gravi lesioni ad una gamba. Il provvedimento cautelare mise in luce, inoltre, l’estrema ferocia e violenza con cui gli appartenenti al sodalizio barcellonese affermarono la propria egemonia sia nell’ambito dei servizi di sicurezza privata all’interno delle discoteche della zona di Milazzo e Barcellona, sia nel settore del trasporto turistico per le Isole Eolie. Sintomatici, in tal senso, sono gli incendi della sala ricevimenti “Villa Ligà” e della nave da crociera “Eolo d’oro” che portano, entrambi, la firma dell’organizzazione criminale colpita con la suddetta operazione. L’incendio di “Villa Ligà” fu deciso da Alesci Alessio, Munafò Franco e Ofria Giuseppe dopo che quest’ultimo, durante una serata danzante, ebbe una discussione con alcuni componenti del servizio di sicurezza del locale. Nonostante la stessa sera l’Ofria avesse umiliato pubblicamente e aggredito fisicamente tali soggetti, sottolineando il proprio “rango mafioso”, il gruppo si determinò ad un gesto eclatante. Secondo quanto riportato dai collaboratori, il giovane Ofria era intenzionato a vendicarsi a livello personale con chi non l’aveva rispettato in quella circostanza. L’azione di fuoco veniva portata al termine materialmente da D’Amico Bartolo, Benvenga Santino, Chiofalo Marco e Chiofalo Salvatore. L’incendio fu di vaste proporzioni, come testimoniato dagli stessi collaboratori di giustizia Munafò e Alesci:“In effetti, di lì a poco tempo, vedemmo una colonna di fiamme molto alta, addirittura lunga quindici-venti metri; in effetti erano stati utilizzati almeno settanta-ottanta litri di benzina…”; “le fiamme si vedevano a chilometri di distanza; quando io, qualche giorno dopo, mi trovai nelle vicinanze, avvertii ancora la puzza di bruciato”. La vastità delle fiamme fu tale che nelle operazioni di accensione, come confermato dagli accertamenti effettuati dal Nucleo Operativo di Barcellona, D’Amico Bartolo si ferì gravemente ai piedi, tanto da doversi ritirare per qualche settimana a Lipari, a casa di un’amica che provvide a curarlo poiché lui non era neanche in grado di deambulare. Fu l’Alesci a dare 1.000 euro al D’Amico per poter provvedere alle sue cure. Diversamente, l’incendio della nave da diporto “Eolo d’oro” sarebbe stato commissionato da Fiore Giovanni, soggetto emergente dell’area milazzese e poi tratto in arresto per estorsioni commesse nei confronti di imprenditori edili che stavano svolgendo lavori sul lungomare di Ponente della città del Capo. Secondo le dichiarazioni dei due collaboratori, supportate dalle attività d’indagine a riscontro condotte dal Nucleo Operativo dei carabinieri di Barcellona, il Fiore si sarebbe rivolto al gruppo “barcellonese”, proprio attraverso Munafò e Alesci, per incendiare l’imbarcazione dell’imprenditore milazzese Salamone. Il Fiore si sarebbe “affidato” al gruppo “barcellonese” non soltanto per accreditarsi presso di loro, essendo in ascesa nell’imposizione delle estorsioni agli imprenditori di Milazzo, ma anche per dimostrare in maniera eclatante alla famiglia della sua fidanzata, figlia del titolare di una società concorrente dei Salamone nell’ambito del trasporto turistico verso le Isole Eolie, il proprio potere territoriale. Per l’esecuzione della commessa il gruppo “barcellonese” percepì un corrispettivo di 2.000 euro più il costo dei circa 200 litri di benzina utilizzati per distruggere interamente l’imbarcazione. Sul punto il Gip di Barcellona De Marco rilevò che “il riferimento operato dal Fiore all’Alesci non è meramente funzionale alla ricerca di un gruppo di sicari da assoldare, bensì è il chiaro atteggiamento di chi si rivolge al vertice di un’organizzazione criminale che esercita il controllo su una determinata porzione di territorio”.

          Giuseppe Lazzaro

Edited by, giovedì 20 dicembre, ore 17,11.

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